05/03/2015
Se vuoi alzare il livello culturale di un Paese, il marketing non serve. Serve gente capace di leggere, parlare, comprendere i linguaggi della complessità. Ecco che la lezione finlandese torna di attualità e ci mostra come matematica e bellezza, numeri e umanesimo, siano un binomio indissolubile
Quali competenze è necessario insegnare e apprendere per evitare il naufragio in quello che gli americani chiamano «unpredictably changing knowledge world» e Zygmunt Bauman, con formula forse inflazionata ma di certo più nota dalle nostre parti, ha definito «mondo liquido»?
L'America è di troppo
I cambiamenti tecnologici, gli scenari economici, la geografia umana e valoriale. Tutto si sussegue bruciando ricette e risorse, consumando formule e lasciando solo un senso di impotenza e di vuoto. Tutto cambia con una velocità impressionante e la risposta ricorrente, venata spesso da un sottile antiumanesimo, è che servano conoscenze scientifiche o tecniche che preparino alla competizione prossima ventura.
Solo che questa competizione non produce gli effetti sperati. I dibattiti sulla scuola declinata in termini di mera competizione, allora, si attorcigliano su se stessi e finiscono per rivelare qualcosa che rischia di sfuggire a sguardi disattenti.
Un caso su tutti: visti dalla testa del loro sistema educativo, gli Stati Uniti sono al vertice delle classifiche mondiali, per qualità e standard delle loro università. Per questa ragione, non c’è dibattito dove non vengano presi a modello. I difetti di questo sistema vengono quasi esclusivamente individuati nell’eccesso di disparità all’accesso: tasse troppo alte, selettività estrema e via discorrendo. Ma le cose, anche volendo tralasciare la questione economica, non è così semplice.
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